Visitiamo New York col naso all’insù, il fotografo ci restituisce tutto il verticalismo insito nel DNA della metropoli americana attraverso una visione ardita ma compositivamente equilibrata, esteticamente raffinata, con un gioco di linee che si incrociano nello spazio urbano.
Vertical City
Un doppio progetto fotografico dedicato a Manhattan, centro nevralgico di New York e simbolo della sua crescita verticale. In Vertical City e nel successivo Vertical City Extended, Luigi Cipriano propone una lettura visiva rigorosa e personale della città, focalizzandosi sulle architetture, le simmetrie e le geometrie che caratterizzano il paesaggio urbano.
Le fotografie, tutte in bianco e nero, si concentrano sulle facciate dei grattacieli e sulla struttura ripetitiva dell’ambiente costruito. Le forme architettoniche vengono isolate e interpretate come elementi grafici: rettangoli, linee, griglie e riflessi diventano i codici visivi con cui l’autore descrive la metropoli. L’effetto è quello di un linguaggio fotografico essenziale, basato sul contrasto e sulla composizione.
Un elemento distintivo del progetto è l’assenza quasi totale della figura umana, scelta che si contrappone all’immaginario comune di una Manhattan affollata, frenetica, in costante movimento. Questa sottrazione visiva mette in risalto l’architettura come unica protagonista e conferisce alle immagini un senso di sospensione e astrazione. La città viene così restituita come spazio mentale, silenzioso e geometrico, dove le linee e le forme parlano più forte del rumore del traffico e della folla.
Il cuore del racconto fotografico si sviluppa attraverso una progressione ritmica di inquadrature che
guidano lo sguardo verso l’alto, seguendo la tensione verticale delle strutture.
In Vertical City, Cipriano esplora la monumentalità delle architetture newyorkesi con uno sguardo nitido e misurato, facendo emergere un senso di ordine nel caos urbano. Le immagini sono costruite con estrema precisione, come diagrammi visivi che svelano l’anima razionale della metropoli. Ogni edificio diventa un totem isolato, una presenza scultorea sospesa in una luce rarefatta, dove il tempo sembra essersi fermato.
Nel passaggio a Vertical City Extended, la ricerca si fa più articolata e approfondita. Cipriano amplia il suo campo visivo, includendo nuove prospettive e spingendosi in una ricognizione quasi sistematica dei pattern architettonici che caratterizzano Manhattan. Le superfici degli edifici si trasformano in trame astratte, simili a partiture visive in cui ogni elemento trova la sua collocazione armonica.
L’uso del bianco e nero accentua l’aspetto grafico delle immagini, privandole di ogni distrazione cromatica e rafforzando il senso di rigore formale. Lo spettatore si trova così immerso in una dimensione visiva sospesa tra il reale e l’astratto, tra l’oggettività documentaria e la visione soggettiva dell’autore. Questa indagine fotografica assume quasi il carattere di una mappatura emozionale, dove la ripetizione e la serialità degli elementi architettonici non generano monotonia, ma rivelano piuttosto una forma di bellezza sistemica, nascosta nell’ordine invisibile delle cose. Cipriano costruisce un atlante visivo della città verticale, in cui ogni scatto è una tessera di un mosaico più ampio, un frammento di un discorso coerente sul rapporto tra uomo, spazio e architettura.
Il lavoro si inserisce nel solco di autori che hanno utilizzato New York come soggetto per riflessioni formali e compositive. Si possono citare Berenice Abbott per la sua documentazione storica dell’architettura urbana, Michael Wolf per la sua ricerca sulla densità visiva e sulla ripetizione nei paesaggi metropolitani, e Thomas Struth, che ha indagato le strutture urbane con un approccio fotografico analitico, preciso e geometrico, restituendo una visione neutra e oggettiva della città.
In ultima analisi il progetto descrive una Manhattan razionale, strutturata e graficamente potente, in cui la fotografia diventa uno strumento per analizzare lo spazio urbano e le sue trasformazioni, spingendo lo spettatore a osservare la città non attraverso il flusso umano che la attraversa, ma attraverso la logica delle sue forme.