Non gridatemi più dentro, non soffiatemi in cuore i vostri fiati caldi, contadini.
Beviamoci insieme una tazza colma di vino! che all’ilare tempo della sera s’acquieti il nostro vento disperato.
Spuntano ai pali ancora le teste dei briganti, e la caverna – l’oasi verde della triste speranza – lindo conserva un guanciale di pietra… Ma nei sentieri non si torna indietro.
Altre ali fuggiranno dalle paglie della cova, perché lungo il perire dei tempi l’alba è nuova, è nuova. (Rocco Scotellaro, Sempre nuova è l’alba, 1948)
Non so se quando, a maggio del 2020, intraprese questo viaggio tra i Contadini meridiani, Fabio Fischetti avesse chiara l’intenzione di realizzare quel dialogo fotografico che a me è apparso immediatamente evidente nella constatazione di quanto quelle immagini fossero “fatte” anche dai soggetti in posa, dandosi con ciò un superamento del confine tra i soggetti e i loro ruoli, tra il soggetto che guarda (e vede alcune cose) e il soggetto che è guardato (e in parte è visto) ma che anche realizza esso stesso l’epifania dell’immagine. In questo attraversamento delle alterità, chi osserva chi? chi fotografa chi?, assolutamente non scontato, assolutamente non automatico e, anzi, non frequente (essendo più spesso il monologo il registro delle performance fotografiche),
in questa presenza viva di ciò e di chi è stato fotografato, in questa presenza che pare avere anch’essa una sua propria intenzione, si compie, per Contadini meridiani, il passaggio da progetto fotografico a percorso di antropologia visuale. E forse sta proprio in questa seconda natura non detta del lavoro di Fabio Fischetti, il codice del pathos struggente che a me arriva guardando il suo lavoro, un pathos che non si lascia sminuire dalla scelta di accostare alle immagini d’autore, le immagini del backstage che raccontano la costruzione partecipata e attiva, affatto passiva, di questa narrazione collettiva per immagini.
Non so se quando, a maggio del 2020, intraprese questa etnografia visuale, Fabio Fischetti avesse chiaro il fatto che nel mondo, per via della quarantena globale e globalizzante, si portava a compimento una mutazione strutturale che era iniziata pochi anni prima e che era, appunto in quei pochi mesi, precipitata vertiginosamente: mi riferisco al fenomeno del crollo dei contesti prodotto dalla contestuale accelerazione e digitalizzazione del mondo. Sempre l’umanità è stata letta e interpretata soprattutto a partire dal contesto in cui vive in quanto fattore fondamentale per la costruzione dei riferimenti individuali e gruppali: da qualche tempo, da poco tempo, il contesto fisico, l’ambiente nel quale si vive, ha perso questo primato, le quinte di scena sono crollate e i singoli e i gruppi attingono nella vastità del mondo, e del mondo digitale soprattutto, i loro riferimenti.
Contadini meridiani sembra descrivere un mondo in controtendenza rispetto a questo processo, un
mondo nel quale il contesto è ancora, se non totalizzante, quanto meno determinante nella costruzione di sé e del proprio mondo di riferimenti. E non è solo una questiona anagrafica, perché i protagonisti delle immagini di Contadini meridiani sembra che sfumino l’età di ciascuna e ciascuno a favore di un continuum familiare che non mette più di tanto in questione la differenza di età e sembra preferire il noi all’io.
È stata forse questa postura viva e vivente a giustapporre, nella mia mente, il Contadini meridiani di Fabio Fischetti al Sempre nuova è l’alba di Rocco Scotellaro: c’è, in questa sua semplice, eppure non neutrale, constatazione del fatto che ogni alba è sempre nuova, una sorta di ribellione alla radicale saggezza del Nulla di nuovo sotto il sole dell’Ecclesiaste. È nello stallo provocato da queste due verità, il nuovo che arriva e il vecchio che non cambia, è in questa aporia, che si sviluppa l’esistenza di chi vive, nelle campagne di tutto il mondo, un rapporto intenso e diretto, vincolante e determinante, con la propria terra madre, con la propria matria. Non so se quando, a maggio del 2020, se andava in giro per le campagne di Gioia del Colle sventolando la sua macchina
fotografica come una bandiera della Pace, Fabio Fischetti sapesse che nel mondo è scomparso il futuro e che si vive in un presentismo privo di orizzonte. Guardando le sue foto verrebbe da pensare che lo sapesse bene ed anche che, discutendo di questo con i Contadini meridiani si siano pronunciati definitivamente a favore del fatto che sempre nuova è l’alba.
Felice Di Lernia – Antropolo