Questo viaggio in Uzbekistan è il primo atto di un racconto che prevede altre due tappe: nel 2026 il Kirghizistan e nel 2027 la Mongolia. Terre lontane dell’Asia centrale ricche di bellezze naturali ed architettoniche e di influenze etniche e religiose che caratterizzano le tribù di questi tre stati.
LA VIA DELLA SETA ED IL FASCINO DEL LAGO D’ARAL
Il viaggio fotografico in Uzbekistan è stato incredibilmente affascinante, un’esperienza straordinaria che mi ha immerso nella bellezza dei luoghi e della gente che li abita. Questo Paese è un caleidoscopio di sensazioni: i colori, gli odori, le architetture ed i volti ti catturano, conducendoti nei vicoli e tra le case, in un susseguirsi di sorprese che accendono emozioni autentiche.
Ripercorrere una parte della leggendaria Via della Seta è stato come entrare in una narrazione sospesa tra passato e presente. Lungo questo percorso si respira la memoria di un tempo glorioso, quello delle carovane dei mercanti di seta, conservata con fierezza e delicatezza. Le città di Bukhara, Tashkent, Khiva e soprattutto Samarcanda sembrano cristallizzate nel tempo, con le loro maestose moschee, piazze vivaci, mercati colorati e madrase – antiche scuole islamiche – che narrano secoli di cultura e scambi.
Samarcanda, tra tutte, ha un potere ipnotico: è un nome che già da solo evoca magia, e quando la si attraversa, lo stupore si rinnova ad ogni angolo. L’architettura islamica qui si esprime in una sinfonia di geometrie e colori, con edifici che sembrano gioielli incastonati nella trama urbana. Ma basta uscire appena dalle sue mura per ritrovarsi in un mondo selvaggio, fatto di paesaggi sterminati e cromie sorprendenti.
Tra i luoghi più singolari, il deserto lasciato dalla scomparsa del lago d’Aral racconta una storia diversa, quasi surreale. Un tempo grande bacino d’acqua, oggi è un paesaggio post-apocalittico, dove relitti di navi giacciono su un terreno arido, come in un cimitero silenzioso. Dal 1986, lo sfruttamento intensivo delle acque degli immissari Amu Darya e Syr Darya ha causato un drastico processo di desertificazione, lasciando in eredità uno scenario tanto drammatico quanto visivamente potente.
Questo viaggio mi ha regalato un reportage fotografico ricco e variegato, ma ciò che porto nel cuore più di ogni altra cosa sono i volti delle persone incontrate. Cordiali, ospitali, sempre pronte ad offrire un sorriso sincero: ritrarle è stato un privilegio, un modo per fermare nel tempo l’anima di un popolo generoso.